Yves de Brabander: L’Arte della Resistenza e della Rappresentazione Queer

Yves de Brabander, in un mondo dove l’intimità maschile è spesso avvolta da strati di silenzio e vergogna, emerge come una voce audace e sincera. Yves è un artista che trasforma la vulnerabilità in un atto di resistenza.

Le fotografie di Yves de Brabander non sono semplici immagini; sono finestre aperte su un universo di desideri e scoperte, dove il sacro e il profano si intrecciano in una danza di luce e ombra, con un narrazione visiva che sfida le convenzioni e celebra la bellezza dell’autenticità queer.

Cresciuto tra le pieghe della iconografia religiosa, Yves de Brabander ha assorbito l’intensità delle storie bibliche, quelle narrazioni di peccato e redenzione che risuonano profondamente con la sua esperienza personale di esclusione e accettazione. Le sue fotografie sono intrise di simbolismo e intensità e ci invitano a immergerci in un mondo dove il sacro e il profano danzano insieme, rivelando le complessità dell’intimità maschile.

Yves de Brabander ha trasformato le sue esperienze di esclusione in un linguaggio visivo potente, dove ogni scatto diventa un atto di resistenza e una dichiarazione di libertà.

Le immagini di Yves de Brabander sono riflessi di una lotta interiore, un viaggio attraverso le sfide e le gioie dell’identità queer. Con una sensibilità acuta, Yves cattura l’essenza della vulnerabilità umana, rivelando come la bellezza possa emergere anche nei momenti più crudi e imperfetti.

Ogni posa dei suoi modelli racconta una storia di scoperta e accettazione, mentre i dettagli apparentemente semplici, come calzini usurati o gesti intimi, si trasformano in simboli di connessione e autenticità.

In questo spazio visivo, Yves de Brabander ci invita a mettere in discussione le norme sociali che definiscono cosa sia considerato “normale”, spingendoci a riflettere su ciò che ci rende umani.

L’ arte di Yves de Brabander è una celebrazione della libertà di essere se stessi, un invito a esplorare le sfumature dell’identità senza paura né vergogna.

Con ogni immagine, ci ricorda che la vulnerabilità non è debolezza, ma piuttosto una forza che ci avvicina gli uni agli altri, tessendo legami profondi in un mondo che spesso cerca di separarci.

Nel tuo lavoro affronti temi come la vulnerabilità dell’intimità maschile, con paralleli alle narrazioni bibliche. Perché hai scelto questa direzione?

Per me, il mio lavoro nasce da un mix di esperienze personali e dal mondo visivo in cui sono cresciuto. Da bambino, visitando la chiesa, ricordo di essere stato attratto dall’iconografia religiosa, come i santi e i martiri mezzi nudi, che suscitavano sentimenti di arousal e scoperta, mentre l’istituzione stessa rifiutava la mia identità di adolescente gay. Questa contraddizione—desiderio mescolato a esclusione—mi ha sempre accompagnato e mi ha spinto a esplorare la vulnerabilità, l’intimità e cosa significa essere un uomo in un mondo che ha regole precise su cosa dovrebbe rappresentare la mascolinità.

Le ricche storie della Bibbia su peccato, redenzione e auto-sacrificio si adattano perfettamente ai temi che mi interessano. Per le persone queer, c’è spesso questa tensione di voler essere accettati ma sentirsi sempre in contrasto con ciò che la società considera “normale”. Il mio lavoro è un riflesso di quel tira-e-molla, dove il corpo maschile diventa uno strumento sia per l’espressione personale che per il confronto.

In COME CLEAN, mi immergo in quel simbolismo—angeli caduti, il rituale del lavaggio dei piedi, e le macchie fisiche—per parlare di vergogna, vulnerabilità e bisogno di accettazione.

Lavare i piedi si collega al rituale religioso, ma esplora anche un lato più personale, collegando il spirituale all’erotico e sfidando i tabù.

Anche se le tue immagini sono puramente contemporanee, la postura e l’abbandono dei corpi somigliano a quelle dei martiri cristiani. In Italia siamo circondati da questa iconografia e osservando alcune delle tue immagini ho pensato a una possibile connessione. Ti ci ricolleghi?

Assolutamente, vedo quella connessione. Le mie immagini sono profondamente radicate nell’iconografia con cui sono cresciuto—quelle rappresentazioni drammatiche ed emotive di santi e martiri nell’arte cristiana. Le posture, la vulnerabilità delle loro espressioni e persino il modo in cui i loro corpi sono esposti, ma mai sessualizzati, hanno lasciato un’impressione duratura su di me.

Durante la scuola di fotografia, uno dei miei mentori mi ha incoraggiato a studiare i pittori classici, e questo ha cambiato il mio modo di guardare l’arte. Ho imparato come luce e composizione possano esprimere emozioni e raccontare storie. È sembrato quasi una continuazione di ciò che mio padre faceva anni prima nei musei di Bruges, quando mi mostrava come la luce danzasse sulle tele dei maestri fiamminghi. Queste influenze mi hanno fornito gli strumenti per affrontare postura e luce in un modo che sento personale—prendendo quegli elementi classici e facendoli miei.

Come me, molte persone queer portano con sé storie di rifiuto, resilienza e autodiscovery, che possono sembrare una forma moderna di martirio. C’è qualcosa di intrinsecamente bello e crudo in quell’“abbandono” che menzioni—l’atto di esporsi fisicamente ed emotivamente nudi. Il mio intento è catturare intimità, identità e desiderio senza filtri o vergogna.

Quindi sì, la connessione c’è, anche se non sempre era deliberata.

Il tuo ultimo lavoro, COME CLEAN, è ricco di simbolismo. Puoi dirci qualcosa in più? Perché hai scelto questo titolo?
Il titolo COME CLEAN porta con sé un doppio significato che sembrava perfetto per il progetto. Da un lato, riguarda la confessione: ammettere verità sull’identità, il desiderio e la sessualità. Dall’altro, rappresenta la liberazione: liberarsi dalla vergogna sociale e abbracciare chi si è, senza scuse.

Con curiosità ho notato che molti non anglofoni interpretano il titolo in modo piuttosto letterale, pensando che significhi “arrivare puliti” fisicamente, non sporchi. Mi piace che questo malinteso esista, perché aggiunge un’ironia giocosa ai livelli simbolici più profondi del lavoro.

Il progetto è infatti una celebrazione di ciò che spesso è considerato “sporco” o non convenzionale: quei desideri e quelle identità che la società cerca di sopprimere. COME CLEAN è un’esplorazione dell’identità, del desiderio e dell’auto-accettazione raccontata attraverso una lente profondamente personale. È il viaggio del rivelarsi, dello scoprire ciò che è nascosto e dell’abbracciare le complessità di chi siamo, inclusi quegli aspetti che la società potrebbe etichettare come “sporchi”.

Qual è il significato delle quattro fasi della serie COME CLEAN (COME IN, COME OUT, COME AGAIN e COME UNDONE), e come rappresentano il tuo percorso artistico?
Ogni capitolo rappresenta una fase diversa dell’autodiscovery e dell’esplorazione dell’identità.

COME IN è un invito amichevole, un benvenuto nel mio studio. È l’inizio di un momento intimo e silenzioso di vulnerabilità, dove il modello inizia a interagire con una singola sedia che funge da partner simbolico nell’assenza. Rappresenta solitudine, introspezione e il punto di partenza del viaggio.

COME OUT è la fase in cui il modello interagisce con lo sfondo colorato a mano con carbone vegetale, “sporcandosi” fisicamente. Questo momento rappresenta l’abbraccio dell’identità e dell’eccitazione, lasciando macchie visibili sul corpo. Il carbone ha una qualità purificante, simboleggiando non solo lo sporcarsi ma anche il processo di pulizia, una metafora per liberarsi delle norme sociali e abbracciare il proprio vero io.

COME AGAIN avviene dopo che il modello emerge dallo sfondo in carbone vegetale. I corpi macchiati rappresentano l’accettazione di ciò che un tempo era visto come vergognoso: una trasformazione, mentre l’individuo inizia a ridefinire il proprio spazio nel mondo.

Infine, in COME UNDONE—che si sviluppa lungo tutto il libro—calzini usurati e sporchi diventano reliquie del viaggio percorso. Questi oggetti rappresentano memorie, tracce di intimità: un accenno alla cultura fetish, ai miei stessi desideri, ma anche una riflessione sul consumo fisico ed emotivo della vita.

Ogni fase si costruisce sulla precedente, mostrando che la crescita spesso richiede di sporcarsi prima di potersi pulire.

Ci sono artisti o fotografi che consideri influenze primarie?

Sono sempre stato attratto dai pittori classici come Caravaggio, El Greco e i Primitivi fiamminghi, soprattutto per la loro padronanza della luce e il modo in cui creano tensione nelle loro rappresentazioni. Tra le opere che mi hanno colpito di più ci sono la scultura Spinario e la Fontana della Gioventù di George Minne.

In fotografia, scoprire Wolfgang Tillmans e Larry Clark durante l’ultimo anno della scuola di fotografia, grazie a un nuovo insegnante, è stato davvero illuminante. Il loro lavoro mi ha mostrato che la fotografia può essere molto più di un’immagine: può diventare una narrazione cruda e onesta.

Sono stato profondamente influenzato anche da Robert Mapplethorpe, Peter Hujar e Nan Goldin, soprattutto per il modo in cui hanno esplorato senza paura l’intimità e il corpo umano. Da loro ho imparato l’importanza di spingere i confini, trovando bellezza nella vulnerabilità e abbracciando l’imperfezione. Questi artisti mi hanno insegnato a non allontanarmi mai da ciò che è reale e crudo.

Un aspetto che mi ha colpito nel tuo lavoro è la rappresentazione cruda e senza compromessi del mondo queer. Cosa ti ha spinto a muoverti in questa direzione?

Negli anni ’90 ero un attivista in vari movimenti LGBT, manifestando per la nostra esistenza nelle strade di Anversa e Bruxelles. Poco dopo ho iniziato a lavorare come fotografo freelance per organizzazioni LGBT locali, diventando in seguito fotografo permanente per SENSOA, il centro belga per la salute sessuale e la prevenzione dell’HIV.

Durante quel periodo ho abbracciato la libertà di rappresentare l’identità queer e l’intimità senza sanificare o idealizzare nulla. C’era una filosofia del carte blanche dietro queste campagne: nessun tabù, nessun limite. Ho avuto libertà totale nel catturare la realtà così com’era; ho persino fotografato una coppia durante un rapporto o un’erezione per una campagna sull’uso del preservativo.

Queste esperienze non filtrate mi hanno spinto ad affrontare direttamente la cruda realtà della sessualità e hanno acceso il mio impulso di esplorare questi temi nel mio lavoro. Mi hanno insegnato il potere della visibilità e della narrazione nell’affrontare i tabù.

È diventato chiaro che rappresentare autenticamente la vita queer—senza vergogna o censura—è un modo per sfidare gli stereotipi e creare spazio per una vera rappresentazione.

Pensi che l’uso delle tecniche miste nel tuo lavoro contribuisca alla complessità visiva dei tuoi pezzi?

Assolutamente. Costruisco e decostruisco immagini, aggiungendo strati che arricchiscono il significato dietro di esse. L’uso delle tecniche miste gioca un ruolo enorme nella complessità visiva del mio lavoro.

Ad esempio, mischio stampe laser graffiate e piegate con pigmenti naturali, vernici e strati traslucidi per creare profondità e texture. I neri profondi nelle ombre sono ottenuti sovrapponendo stampe traslucide, dando loro quasi una qualità tridimensionale. Questi strati aggiungono complessità, invitando lo spettatore a esplorare il pezzo oltre la superficie.

Quando crei le tue immagini pensi al messaggio che vuoi trasmettere?

Sì, ma direi che si tratta più di un invito per le persone a mettere in discussione e riflettere. Il mio lavoro sfida gli stereotipi e i limiti sociali imposti sulla mascolinità, sull’intimità e sulla sessualità.

Voglio creare uno spazio dove questi temi possano essere esplorati apertamente, senza vergogna o paura. Alcuni dei miei modelli mi hanno persino detto che il mio studio sembra uno spazio sicuro per loro, e questo per me significa molto.

Allo stesso tempo, cerco di normalizzare desideri e interessi che la società spesso etichetta come perversi o tabù. Con il mio lavoro intendo provocare riflessione, incoraggiare comprensione e, infine, celebrare tutto lo spettro dell’identità e dell’esperienza umana. Non si tratta tanto di dire alle persone cosa pensare, quanto di dare loro la libertà di pensare da sole.

Pensi che la resistenza possa essere espressa attraverso l’arte? Se sì, come?
Assolutamente. L’arte è una forma potente di resistenza. Ci offre uno spazio per sfidare le aspettative sociali, confrontare tabù ed esplorare temi spesso etichettati come “inaccettabili”.

Per me, resistenza significa spingere contro i vincoli della convenzionalità—norme sociali, censura o soppressione della libertà sessuale ed emotiva. Ritrarre identità queer, intimità maschile e sensualità del corpo umano senza vergogna è, di per sé, un atto di protesta.

Piattaforme come Instagram, con i loro algoritmi che spesso censurano il mio lavoro, dimostrano quanto sia ancora necessario resistere per garantire visibilità. Resistenza significa creare anche in un mondo dove la politica conservatrice cerca di fare passi indietro. Attraverso la mia arte, voglio celebrare ciò che altri cercano di sopprimere, rendendolo impossibile da ignorare.

COME CLEAN combina delicatezza e provocazione, creando una narrativa visiva che mette in discussione norme culturali e moralità. Sembra quasi che tu stia offrendo una nuova prospettiva sull’identità queer. Cosa ne pensi?
Vedo il mio lavoro, soprattutto COME CLEAN, come un’offerta di prospettive non solo sull’identità queer, ma sull’intimità umana nella sua totalità. La delicatezza nel mio lavoro deriva dal catturare quei momenti sensuali profondamente personali, che possono sembrare crudi o intensi, ma che sono esperienze universali.

Al suo interno, il lavoro celebra l’apertura, che si tratti di identità, sensualità o interessi sessuali, in particolare quelli spesso etichettati come “perversi”. Non tutti sono abituati a vedere un’immagine di un ragazzo che si lecca i piedi, per esempio, e per alcuni questo potrebbe risultare scomodo.

Ma sono proprio questi momenti a spingerci a riflettere sul perché certi atti ci rendano a disagio. Includendo queste immagini, voglio sfidare i confini su ciò che troviamo accettabile e costringere a ripensare il modo in cui vediamo desiderio, bellezza e libertà. Attraverso la mia arte voglio normalizzare ciò che la società tende a respingere, creando un’estetica capace di attirare gli spettatori nella conversazione. Se COME CLEAN risuona come una nuova prospettiva, è perché invita le persone a vedere bellezza in ciò che spesso è nascosto o represso.

Non senti anche tu che, per noi della comunità LGBTQ+, il mondo sta facendo passi indietro? E credi sia necessario combattere forse più di un tempo?

Sì, spesso sembra proprio che stiamo tornando indietro. Gli algoritmi di piattaforme come Meta e Instagram continuano a censurare stili di vita queer e nudità artistica, mentre l’emergere della politica conservatrice in molti paesi crea un ambiente sempre più ostile.

Sembra che molti si sentano sopraffatti dal cambiamento—che si tratti di conversazioni sull’identità di genere o di più ampie trasformazioni sociali—e che in risposta ci sia un ritiro nella paura e nel conservatorismo. Campagne come quelle che ho realizzato per SENSOA nei primi anni 2000, crude e senza compromessi nella loro rappresentazione dell’identità queer e della salute sessuale, oggi non sarebbero possibili.

Questo rende la visibilità e la rappresentanza più cruciali che mai. Per me, l’arte è un modo per sfidare la confusione e i pregiudizi che circondano queste questioni. Serve da promemoria che il progresso non è sempre lineare: a volte sembra proprio che stiamo lottando solo per mantenere la posizione.

La lotta per la libertà e l’accettazione è tutt’altro che finita, e attraverso il mio lavoro spero di contribuire a questa battaglia continua.

Il tuo lavoro abbraccia molte sfumature, dal sessuale al fetishistico. Quali sono i tuoi pensieri su questi temi?

Sessualità e fetishismo sono profondamente intrecciati all’identità umana, eppure vengono spesso respinti o stigmatizzati. Il mio lavoro mira a reclamare questi aspetti, trattandoli non come qualcosa di anormale, ma come un’espressione integrale dell’identità personale e sessuale.

Ad esempio, esplorando interessi come i piedi, l’odore o il sudore, oppure l’abbigliamento sportivo, vado oltre il semplice desiderio: si tratta di comprendere cosa plasmi l’arousal e come l’interesse sessuale venga formato. Questi temi fanno parte di chi siamo, e il mio obiettivo è presentarli onestamente, senza scuse.

Allo stesso tempo, voglio mettere in discussione il motivo per cui certi desideri siano ancora etichettati come “perversioni” oggi. Voglio interrogare le norme sociali e limitanti su ciò che viene considerato accettabile.

In COME CLEAN sembra esserci un’importante attenzione sui piedi e sui calzini. Cosa trovi attraente in questi soggetti e cosa rappresentano per te?
Da adolescente ho scoperto quanto odori come il sudore e l’odore corporeo—soprattutto nei calzini e nelle sneakers—scatenassero attrazione. Questa fascinazione è diventata un filo conduttore nel mio lavoro, riflettendo come sensualità e identità siano plasmate da esperienze personali spesso taciute.

In COME CLEAN, i calzini fungono da reliquie del viaggio percorso. Sono usurati, sporchi, imperfetti: simbolizzano sia la lotta fisica sia quella emotiva dell’autodiscovery. Proprio come reliquie o artefatti, li ho conservati in sacchetti sigillabili dopo gli scatti. Alcuni li ho persino incorniciati, elevandone ulteriormente il significato.

Questi calzini rappresentano vulnerabilità e connessione intima tra corpo e identità. Si legano anche al tema dell’interesse sessuale, invitando gli spettatori a riconsiderare cosa troviamo desiderabile e perché, sfidando i giudizi posti su tali desideri.

Qual è il tuo obiettivo finale con il tuo lavoro?

Il mio obiettivo finale è creare uno spazio sicuro per l’esplorazione dell’identità e della sessualità. Voglio incoraggiare le persone a esplorare le proprie esperienze senza paura di giudizio o vergogna.

Attraverso la mia arte, spero di ispirare una maggiore comprensione e accettazione delle diversità umane. Voglio anche contribuire a una rappresentazione più autentica delle esperienze queer nella società.

Come vedi il futuro dell’arte queer?
Credo che l’arte queer continuerà a evolversi e a prosperare nonostante le sfide attuali. Gli artisti queer stanno trovando modi sempre più creativi per esprimere le loro esperienze e sfidare le norme consolidate.

La crescente visibilità dei temi queer nell’arte contemporanea è un segno positivo: mostra che ci sono spazi per queste narrazioni e rappresentazioni uniche.

Hai qualche consiglio per i giovani artisti queer?
Il mio consiglio è di rimanere fedeli a se stessi e alle proprie esperienze. Non abbiate paura di esplorare temi che vi appassionano, anche se possono sembrare controversi o tabù.

La vostra voce è importante e merita di essere ascoltata. Siate aperti all’apprendimento e alla crescita, ma non compromettete mai la vostra autenticità.

Quale messaggio speri di trasmettere attraverso il tuo lavoro?
Spero di trasmettere un messaggio di accettazione e celebrazione della diversità umana. Voglio che le persone vedano la bellezza nell’autenticità e nella vulnerabilità.

Attraverso il mio lavoro, desidero incoraggiare una maggiore comprensione delle esperienze queer e promuovere un dialogo aperto su temi spesso considerati scomodi.

Come affronti le critiche al tuo lavoro?
Affronto le critiche come opportunità di crescita e riflessione. Non tutti apprezzeranno il mio lavoro o comprenderanno il messaggio che cerco di trasmettere, ma questo fa parte del processo artistico.

Cerco di rimanere aperto al feedback costruttivo, rimanendo però fedele alla mia visione artistica.

Qual è stata la tua esperienza con l’industria dell’arte fino ad ora?
La mia esperienza con l’industria dell’arte è stata mista. Ci sono stati momenti di grande supporto e opportunità, ma anche sfide significative legate alla rappresentazione queer.

Tuttavia, credo fermamente nel potere dell’arte di cambiare le percezioni e promuovere la comprensione.